Negli oscuri sotterranei

Dal web

Quando si scrive un racconto, pur lavorando di fantasia, si attinge spesso alle proprie esperienze e, necessariamente, conoscenze. Non si scrive ciò di cui non si sa. Così è stato per questo passaggio del mio libro Morte dolceamara – Un nuovo caso o forse due per Debora Nardi.

[…] Fu così che Debora iniziò la sua avventurosa carriera di investigatrice professionista: dietro una scrivania.

«A ma’, attenta ai topi! So’ armati!», la prese in giro la figlia, mentre il marito reprimeva a stento un sorrisino.

«Ridete… ridete… Intanto saprò i fatti di chissà quanta gente!», rispose Debora che nutriva a sua volta qualche perplessità, decisa, tuttavia, a portare avanti il suo progetto.

Andò avanti per giorni col suo noioso lavoro di catalogazione e archiviazione, cominciando pian piano a trovarlo interessante e costruttivo. […]

Quando fui assunta nella Pubblica Amministrazione, essendo arrivata per ultima, mi furono assegnati dei compiti diciamo avanzati, compiti non considerati importanti e lasciati all’ultimo arrivato. In realtà io reperivo economie, cioè ciò che non veniva speso nei pubblici appalti, e rendicontavo per la Cassa del Mezzogiorno per ottenere rimborsi; quindi, a mio avviso, un lavoro molto importante perché quei soldi erano utilizzabili per altre opere. In particolare per il lavoro relativo alla Casmez, lasciato indietro da anni, dovevo andare nei sotterranei dell’antico palazzo romano dove lavoravo. Scomparivo per ore nei meandri di quell’enorme archivio, fatto con grandi scaffali che si aprivano con un meccanismo come nell’immagine a corredo di questo post. Tante volte ho pensato che, se fossi morta laggiù, non mi avrebbe trovato più nessuno.

Tra la polvere vecchia degli ordini di pagamento, che dopo dieci anni sarebbero andati al macero, respiravo chili di acari. Sistematicamente tornavo in ufficio piangente e moccolosa. Mai lavoro fu misconosciuto. Non interessava a nessuno perché nessuno sapeva in cosa consistesse, salvo il Direttore del Servizio – e il suo segretario – che mi premiò quando vide la Relazione di rendicontazione dopo dieci anni di abbandono.

Mi toccava andare laggiù anche quando la Corte dei Conti faceva dei rilievi e bisognava rispondere su documenti vecchi.

Ecco, quando ho descritto Debora tra le scartoffie, pensavo proprio a quell’esperienza. Topi non ne vidi, ma sono sicura che, nell’oscurità, mi osservavano coi loro occhietti attenti.

43 commenti

  1. una volta nel mio ufficio era prassi che l’ultimo arrivato iniziasse facendo le fotocopie, dando inizio alla sua gavetta
    oggi gli ultimi arrivati credono di insegnarti come si fa a lavorare

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  2. è vero si attinge dalla propria memoria per descrivere persone e ambienti. Qualcuno parla di elementi autobiografici in realtà secondo me si tratta di quel cumulo di esperienze che serve a dare un tocco di verità alla storia.
    Quindi giusta la tua precisazione.

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  3. Molto interessante il tuo racconto, naturalmente, se eri alle prese con documenti che, come ogni documento, potrebbero raccontare storie reali, potrebbero facilitarci di vivere meglio, di risolvere problemi in società, di guarire il Mondo da malattie, di applicare la Legalitá reale, in quei meandri polverosi vi potrebbero esservi anche i topi, che dire, auguro in realtá buon lavoro in onestá di coscienza, auguro in realtá Meritocrazia reale! 💖 … 💖

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