E se… (seconda parte)

Tanti altri “E se…” mi arrovellano, alcuni riguardano anche situazioni piuttosto drammatiche su cui preferisco sorvolare, ma due eventi davvero hanno messo a dura prova la mia comprensione di cosa sia il destino.

Mi riferisco alle due volte in cui mi sono ritrovata i due piatti tibiali fratturati. Come mi disse il secondo ortopedico, ho rotto tutto il servizio…

Nel primo caso, avevo deciso di lavarmi i capelli perché me li vedevo in disordine: ho sempre odiato la testa in disordine. Ero in bagno e avevo già preso lo shampoo, quando decisi di uscire in giardino dov’era il signore che ci dava una mano con le siepi, per una pura cortesia. Non mi aveva visto per niente, perché aveva le chiavi del cancello, e volevo salutarlo. Mentre parlavo con lui, i due miei cani mi corsero incontro. Li vidi con la coda dell’occhio, ma non badai al fatto che erano un po’ troppo euforici. Il maschio, Aristotele, un bestione di più di cinquanta chili, mi si buttò addosso. Io avevo la gamba sinistra spostata in avanti. Sentii un crack all’altezza del ginocchio e subito dopo caddi a terra perché la gamba non mi reggeva più. Ari mi si buttò addosso, credendo che volessi giocare, ma la femmina, Stella, che aveva la comprensione quasi di una persona, lo allontanò, rendendosi conto che mi ero fatta male. La persona che era con me non credeva che mi fossi rotta la gamba. Ma perché non mi credono mai? Si capisce subito perché non ti reggi più in piedi. Vabbè, alla fine chiamai mio marito con il suo telefono e andammo al pronto soccorso. Ingessatura fino all’inguine e quaranta giorni in croce. Il recupero fu lunghissimo, ho zoppicato per anni, perché si è scoperto che mi manca un pezzo di osso sul piatto tibiale e la muscolatura riprodotta dopo non mi sosteneva bene.

Mi sono sempre domandata come sarebbe andata se mi fossi fatta uno shampoo invece di uscire in giardino.

Seconda frattura, dinamica decisionale simile.

Ero a fare volontariato. Quel giorno dovevo completare la confezione di bomboniere che ci permettevano di incassare qualche soldino in beneficenza. Le bomboniere erano mio appannaggio, per la mia abilità pratica e per la creatività. Non era neanche il mio turno, ma volevo finire. Nella stanza dov’ero c’era troppa confusione, così mi spostai in un’altra.

Mi vennero a chiamare che era ora di chiusura. Avevo in mano il cesto delle bomboniere e i confetti non usati. Non so come accadde, ma scesi un gradino di neanche dieci centimetri non ricordando che c’era (nei luoghi pubblici dovrebbe esserci uno scivolo, ma nel volontariato frega assai… capitolo a parte) e quindi scesi giù di peso sulla gamba già a suo tempo infortunata. Per il dolore mi buttai sull’altra e sentii il piatto tibiale “uscire” letteralmente di sede. Caddi a terra con una terribile consapevolezza. Io non piango per il dolore, rimango scioccata. Dissi “Mi sono rotta le gambe” e non mi credevano. Ma perché non mi credono mai? Perché lo dico in modo composto, senza urla e gemiti?

Tentarono di alzarmi. A proposito, se si vuole rialzare una persona da terra, non gli si “stroccano” le braccia. Si devono mettere le proprie spalle sotto le ascelle della persona a terra. Così se ne sostiene il peso.

Chiamarono la Croce rossa, neanche loro furono bravi a sollevarmi. Mi tirai io su a fatica, poggiandomi alla sedia a rotelle che mi porsero. Ci sarebbe voluta la barella. Ma io non urlo e non svengo e così non sembrò grave.

Insomma, frattura scomposta del piatto tibiale e bruttissima contusione dell’altro, nero dal ginocchio in giù per il versamento di sangue interno, per cui non riuscivo a reggermi in piedi e non mi reggevo neanche al momento delle dimissioni.

Fui operata per la frattura e mi misero placca, chiodi e osso sintetico perché il mio si era ridotto in polvere. Fui anche ingessata, per cautela.

Tralascio la lunga riabilitazione e il dolore e gli anni che ho zoppicato… La domanda di fondo è “E se…” “Se quel giorno fossi rimasta a casa, o quantomeno non avessi scelto di lavorare in quella stanza con il gradino pericoloso?”

La mia conclusione, per questi due casi, è: a fare il bene ci si rimette sempre. In tutt’e due i casi. Infatti, Aristotele era un cagnetto ferito che avevo raccolto per strada… “E se non l’avessi preso con me?”

39 commenti

  1. Ascolta…
    …se…….
    Non fossi così non ti seguirei. Fai tu…..evidentemente sei una grande persona che di questi se dovrebbe incominciare a dire “meno male che l’ho fatto”…..Ok?

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  2. Una cosa che mi disturba parecchio è quando si sta male, ma gli altri non capiscono l’intensità del dolore che si sta sentendo. Mi auguro che non ti capitino più altri “e se” del genere. Per il resto, visto che non si può ancora tornare viaggiare indietro nel tempo e non si può saltare in un universo parallelo, mi unisco al consiglio di Paola 🙂

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  3. Avevo tredici anni ed ero a casa di mio zio quando ho avuto la prima emiparesi facciale. Dico non mi sento più la faccia, dice smettila di fare la scema. Parlo in modo strano, perché mezza faccia è completamente morta, dice smettila di fare la scema. Ci sediamo a tavola, bevo e l’acqua mi corre giù dalla bocca, perchè non posso controllarne la muscolatura, dice smettila di fare la scema. Ci sono volute ore prima che si decidesse a capire che forse non stavo facendo la scema, e chiamasse mio padre. Sono quelle cose che ti fanno venire voglia di sparare ad alzo zero.

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  4. Un giorno scriverò anch’io il mio “What if”, modalità di pensiero con cui io, da brava dietrologa, mi sono torturata per una vita. Comunque abbiamo una cosa in comune, il fatto di non essere mai credute perché non facciamo la sceneggiata: dovremmo imparare, a tutela della nostra incolumità.

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  5. Che dire? Due racconti davvero coinvolgenti e che fanno riflettere. Devo ammettere che qualche volta il giochino di pensare alle possibili vite diverse l’ho fatto anche io qualche volta. Ma la risposta che mi sono sempre dato è che tutto sommato è andata così e poteva andare tutto peggio o tutto meglio ma…tanto non lo saprò mai! Però tutto ciò ha rafforzato la convinzione di vivere senza farmi troppe illusioni sul futuro visto che solo in parte lo scriviamo noi mentre, per buona parte, è scritto da altri e dal caso. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che il caso puoi aiutarlo o creare le condizioni…beh…che dire…magari qualcuno ci riesce…io non ci sono mai riuscito!

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